Ryoji Ikeda: il compositore matematico di luce e suono

Tramite dati e algoritmi, Ryoji Ikeda crea opere e dà vita a performance capaci di disorientare il pubblico. Con glitch di una luce e imprevedibili suoni elettronici, riesce ad abbagliare e pervadere i sensi di chiunque.

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Dal Paese del Sol Levante si sprigiona una luce imprevista, avanguardista, anticonvenzionale. È quella di Ryoji Ikeda, compositore e artista giapponese nato nel 1966 nella prefettura di Gifu e diventato noto a livello internazionale nel corso degli anni ’90 per via di una rivoluzionaria sperimentazione condotta nel campo della musica elettronica. Con un approccio allo stesso tempo minimalista e ipnotizzante, la figura di Ikeda ha nel tempo assunto un profilo poliedrico, sfuggendo ai confini di etichette e classificazioni. La musica, infatti, ha presto trovato nell’arte visuale una compagna inseparabile, mentre discipline come scienza, matematica e informatica, hanno fatto il loro debutto in qualità di autori di una nuova luce. Ryoji Ikeda è oggi una vera istituzione dell’arte audiovisiva, tanto che le sue opere installative e performance live hanno raggiunto tutto il mondo, portando le disorientanti composizioni di suono e luce ad essere esposte dal Centre Pompidou di Parigi, fino al Barbican Centre di Londra e alla Biennale di Venezia. 

1.Ryoji Ikeda durante un live set - ph. LU Kuo-wei

Today, Ryoji Ikeda stands as a true institution in audiovisual art, with his installation works and live performances reaching across the globe, from the Centre Pompidou in Paris to the Barbican Centre in London and the Venice Biennale.

Il binomio luce e suono nella pratica artistica di Ryoji Ikeda

Per Ryoji Ikeda luce e suono sono più di semplici onde che si propagano nello spazio. Esse rappresentano l’output finale di un processo artistico incredibilmente articolato e complesso, che pone le proprie basi nella passione che l’artista nutre nei confronti delle scienze. Ogni opera ha origine da corpose masse di dati, considerati da Ikeda come vero e proprio materiale da plasmare affinché sia restituito in una forma apprezzabile dai sensi umani. 

Seguono poi elaborazioni computazionali, codici e algoritmi che, sviluppati direttamente dall’artista insieme a un team di programmatori, sono capaci di tradurre le informazioni in entrata sotto forma di visual e tracce musicali. Il risultato è un binomio in cui luce e suono sono elementi che coesistono, si moltiplicano, entrano in dialogo. La luce abbaglia con il bianco di schermi che si accendono e spengono obbedendo alle regole del codice binario; il suono crea un’atmosfera sconosciuta, scandita unicamente dal caotico susseguirsi di impulsi elettronici. 

2. Test pattern [no.5], 2013, Ryoji Ikeda - ph. Zan Wimberley

Test Pattern [enhanced version]

Molte delle creazioni di Ikeda appaiono come monumentali codici a barre dinamici e Test pattern [enhanced version] ne è sicuramente uno degli esempi più rappresentativi. Realizzata nel 2011, l’opera è stata commissionata all’artista da Park Avenue Armory in occasione dell’Annual Visual Art Exhibition ed è stata esposta per la prima volta a New York City nel contesto della personale The Transfinite. Si tratta di un’installazione digitale composta da proiettori e due schermi di grandi dimensioni, supporti sui quali si susseguono le iconiche bande bianche e nere, frutto del calcolo eseguito su specifici pacchetti di dati. 

3. Test pattern [enhanced version], 2011, Ryoji Ikeda - ph. James Ewing

Gli schermi, uno orizzontale e uno verticale, definiscono pavimentazione e parete di uno spazio e allo spettatore è lasciata la possibilità di accedervi, immergendosi così in un ambiente dove luce e suono lo avvolgono in un’esperienza ai limiti della percezione sensoriale.

4. Test Pattern [100m version], 2013 Ryoji Ikeda - ph. Jay Peck

Spectra III

Ancor più immersiva e totalizzante è Spectra III, una delle installazioni con cui l’artista giapponese ha partecipato alla 58esima Biennale Arte di Venezia del 2019. Appartenente alla serie Spectra, gruppo di opere che impiegano unicamente un’intensa luce bianca come materiale scultoreo, l’opera si presenta come un piccolo corridoio accecante. Installati sul soffitto, infatti, si trovano numerosi tubi al neon, la cui forte luce bianca è riflessa in un infinito gioco di rimbalzi sulle restanti pareti riflettenti della struttura.

5. Spectra III, 2019, Ryoji Ikeda - courtesy of La Biennale Di Venezia

Il risultato è un passaggio forzato all’interno di un vero e proprio corridoio di luce, un’esperienza che si consuma nel giro di qualche passo, ma che ha sulla persona un effetto immediato e assoluto: il bianco asfissiante delle fonti luminose rende impossibile la vista e fa prendere coscienza a livello fisico della potenziale forza della luce.

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