Anonima Luci, lighting non convenzionale

Il duo Anonima Luci crea ambienti immersivi, in cui suoni e colori definiscono mondi "altri", sperimentando nuove applicazioni della tecnologia.

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Anonima Luci è uno studio di lighting design e light art fondato nel 2018 a Milano da Alberto Saggia e Stefania Kalogeropoulos, due professionisti con esperienze, visioni e competenze diverse ma complementari. Accomunati da una forte passione per l’innovazione e la ricerca sperimentale, intrecciano luce, suono e tensioni elettriche con l’approccio ingegneristico istintivo di un’artista. Specializzati nell’utilizzo dei laser, realizzando progetti trasversali di carattere architettonico/effimero, dove la luce altera la percezione dello spazio ridefinendolo graficamente. La loro ricerca si estende anche ad altre tipologie di sorgenti, come il LED, con un particolare interesse verso il colore.

1. ECHO-SISTEMA by Anonima Luci e Vincenzo Parlati

Come vi siete conosciuti e come avete scelto il nome del vostro studio?

A: «Lavoravamo in studi diversi e ci siamo conosciuti tramite una ex collega di Stefania. È passato qualche anno prima di provare a collaborare su un progetto illuminotecnico per una residenza privata: l’unione delle nostre conoscenze e visioni differenti, che si completavano a vicenda, era un buon punto di partenza. Il nome è nato a Londra dopo aver visitato la mostra Ferrari: under the skin al Design Museum; la prima denominazione del marchio era “Società anonima scuderia Ferrari”, per cui abbiamo voluto riprendere il concetto dell’anonimato, poco individualista, associandolo a “Luci” e scegliendo il plurale per includere il mondo della luce a 360°gradi».

2. WAVES ORCHESTRA by Anonima Luci

Come siete approdati alla luce e come è nata l’idea di utilizzarla come media artistico?

S: «Sono stati percorsi differenti. Alberto, che ha 10 anni in più, ha studiato design del prodotto al Politecnico di Milano scegliendo la specializzazione in Lighting Design, piuttosto nuova ai tempi, e ha iniziato a collaborare con uno studio occupandosi di illuminazione per retail, hospitality, beni culturali e design del prodotto. Parallelamente, dal 2010 ha progettato collezioni di lampade per vari brand. Io invece ho studiato architettura per avere una preparazione tecnica solida, ma ho incontrato una professoressa che ha colto la mia vena più artistica ed ha saputo indirizzarmi verso il mondo della luce e delle installazioni. Ho poi frequentato il master in Lighting Design & LED Technology presso il Politecnico di Milano e ho collaborato per 3 anni con uno studio di lighting. In seguito ho deciso di andare oltre l’utilizzo “classico” della luce, facendola diventare uno strumento progettuale primario, ho seguito un master in Exhibition Design e ho applicato le nozioni collaborando con uno studio di architettura che si occupava di allestimenti. Quando io e Alberto ci siamo incontrati abbiamo deciso di rischiare e cambiare direzione alle nostre vite. Il passaggio dal lighting design “convenzionale” a ciò di cui ci occupiamo oggi non è stato immediato, nonostante l’intenzione fosse chiara».

3. SPACEFRAMES by Anonima Luci

Colori, laser, geometrie: come nascono le vostre installazioni?

«Le nostre installazioni nascono principalmente dallo spazio. Sono interventi site-specific per cui ci basiamo sul primo impatto e sulle caratteristiche della location. Solitamente ci lasciano carta bianca per le proposte, i dettagli vengono affinati in un secondo momento. Possiamo decidere se annullare, stravolgere o completare virtualmente lo spazio. Lavorando con componenti e non apparecchi finiti presenti sul mercato e realizzando circuiti su misura, riusciamo sia ad abbattere i costi relativi ai materiali sia a sartorializzare l’intervento. All’allestimento, la fase più faticosa, pensiamo in prima persona».

 

Quali sono i vostri lavori meglio riusciti e perché?

«Difficile scegliere…negli ultimi due anni abbiamo avuto la fortuna di focalizzarci su progetti molto interessanti e differenti tra loro. Lavorando con la luce artificiale (per ora), la prima cosa che chiediamo è uno spazio totalmente buio. Anche la segnaletica di emergenza, o una spia luminosa, sono elementi che risultano disturbanti. Tra i lavori venuti meglio ci sono tutti gli interventi fatti a BDC a Parma, uno spazio e una realtà a cui siamo particolarmente legati sia per la sua natura che per la fiducia che ci è stata data. Qui abbiamo realizzato la nostra prima mostra personale e siamo stati assecondati in tutto, di conseguenza il risultato è stato esattamente quello desiderato. Un altro lavoro venuto molto bene, nonostante la sua semplicità, è stato l’intervento per il festival Hyperlocal di Zero a Milano. Quando abbiamo budget ridotti – specie per le autoproduzioni, che abbiamo sempre supportato e da cui noi stessi proveniamo – e tempistiche strette, lavoriamo ove possibile con gli impianti esistenti, specie in esterno, dove l’utilizzo del laser diventa molto difficile. La location era la nuova sede del Comune di Milano a Corvetto, un’architettura molto rigorosa e ripetitiva, con un cortile interno caratterizzato da due torri speculari negli angoli. Il nostro intervento si è limitato a filtrare i corpi lampada esistenti di queste due torri lavorando su un gradiente cromatico che sfumava dal rosso all’ambra. Non ci piace mescolare molti colori e amiamo trovare dei gradienti che richiamano le tonalità della luce naturale. Preferiamo utilizzare filtri piuttosto che sorgenti RGB, per riuscire ad ottenere toni specifici. In questo caso è bastato sfruttare le nostre conoscenze tecniche e le proprietà della luce e far fare tutto il resto allo spazio, sfruttando la diffusione della luce in funzione della geometria architettonica».

Stefania è anche una DJ con lo pseudonimo Sister Effect. C’è una relazione tra luce e musica e come la usate?

S: «La musica è una passione nata fin dai primi anni della mia vita, e che da sempre mi ha accompagnato. A 18 anni ho iniziato a esplorare il mondo dell’elettronica; sentendo la necessità di approcciarmi in maniera attiva ho iniziato a mixare. Non avrei mai pensato che il lavoro e la mia passione potessero punto unirsi, ma è avvenuto per l’inaugurazione della prima personale 444 linee per BDC a Parma. Ci hanno proposto una parte musicale per un vernissage. Al posto di un dj set abbiamo coinvolto la sound artist Katatonic Silentio per lavorare su un live definito appositamente per l’occasione, legando l’installazione al suo suono. L’idea era di creare un ambiente nuovo con delle sue regole ed equilibri, in cui essere immersi e invasi visivamente ed acusticamente dalle cose che accadono. L’esperimento è riuscito molto bene ed è ora un progetto in continua evoluzione. Lavorando nella realizzazione di spazi immersivi, la combinazione della vista e dell’udito ha un impatto emotivo molto potente. Vorremmo dare una visione che appaia “naturale” del suono a livello architettonico, ambientale ed emozionale».

 

Come interpretate il rapporto tra arte e tecnologia?

«Nonostante le nostre installazioni abbiano un carattere concettuale ed estetico richiedono una base tecnica molto solida, che costituisce parte integrante del lavoro. Il nostro pensiero riguardo allo sfruttamento delle tecnologie all’avanguardia è un po’ scettico, perché crediamo se ne debba fare un uso creativo e non meramente applicativo; è un mezzo da usare in base alle esigenze. Sfruttando solo la parte o l’applicazione che ci interessa otteniamo un risultato differente, svincolato da ciò per cui una tecnologia è stata precipuamente progettata. Il lavoro “umano” aumenta, ma è quella parte che regala maggiore calore e personalità alle opere».

4. SPACEFRAMES by Anonima Luci

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