La startup di un settantenne

Si chiama Firmamento Milano ed è il brand fondato da Carlo Guglielmi nel 2017. Dopo una vita votata al design, l'imprenditore ha scelto di dedicarsi al progetto più importante: il suo.

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Il curriculum vitae di Carlo Guglielmi è di quelli che non lasciano indifferenti. Dapprima impiegato nell’azienda di famiglia, è stato direttore generale di Fontanaarte – per cui ha anche firmato tre lampade con lo pseudonimo di Charles Williams –, Presidente di Assoluce e Vicepresidente di FederlegnoArredo dal 2002 al 2008, Presidente del Salone del Mobile Milano dal 2008 al 2012. Vincitore del prestigioso Compasso d’Oro alla carriera nel 2011, ha ideato e fondato l’associazione Altagamma che raccoglie i più importanti brand del lusso Made in Italy. Con la convinzione che si possa ancora fare cultura attraverso il design e con una visione chiara, che va oltre gli schemi preconcetti della progettazione, nel 2017 lancia il suo marchio di illuminazione: Firmamento Milano. Una vera e propria start up con sede di rappresentanza nel nascente Certosa District meneghino, definita dalla voglia di creare una collezione di apparecchi illuminanti autonoma e non condizionata dalle richieste del mercato, frutto di incontri che hanno in comune «la passione per la bellezza, la misura, l’eleganza e il sorriso». Forte della collaborazione di grandi architetti milanesi – nomi altisonanti come Pierluigi Cerri, Michele De Lucchi, Benedetta Miralles Tagliabue,  Park Associati, Franco Raggi, Michele De Lucchi e Cino Zucchi – scelti per affinità profonda da Guglielmi in persona, Firmamento Milano è una piccola grande realtà dall’animo colto che è un piacere scoprire.

Come è iniziata l’avventura di Firmamento Milano e qual è la sua vision?

«È stata una follia, al giorno d’oggi è tutto molto più complicato di quanto fosse una volta! Stavo per acquisire una società di illuminazione e avevo chiesto ai venditori di fornirmi dei documenti che non vidi mai. La trattativa andò male, ma non annullai l’appuntamento dal notaio e creai quel giorno di fine luglio la società Firmamento Milano. Il nome non è frutto di una ricerca o di un’analisi di marketing, è il risultato di una passeggiata fatta proprio quella mattina in una città insolitamente calma, che mi si è mostrata in tutta la sua bellezza con edifici e dettagli incantevoli che nella quotidianità caotica non riusciamo neanche a vedere. Sono innamorato di Milano e mi è venuto spontaneo parlare di “firmamento” per definirla.

1. Carlo Guglielmi

L’idea di base è stata immediatamente chiara: ripartire dal design come forma di creatività, come accadeva negli anni ’50 con Albini, Magistretti, Castiglioni, Sottsass Jr, in collaborazione con la piccola-media industria dei dintorni. Ero davvero stufo di sentire parlare di archistar, desideravo un modo per riappropriarmi di una storia e di un patrimonio immateriale che mi pareva si stesse perdendo. Ho radunato attorno al mio progetto studi di architettura di dimensioni medie, che si erano fino a quel momento occupati poco di disegno di prodotto e che avevo incontrato nelle mie esperienze pregresse. Quando si crea una nuova azienda si hanno, a mio avviso, due possibilità: cercare di essere i primi tra i secondi, ovvero assecondare le esigenze di un mercato già saturo seguendo la scia dei grandi marchi, oppure essere i primi, facendo qualcosa di nuovo, di rottura. Con grandi rischi, forse con un pizzico di presunzione, quest’ultima è stata la mia opzione».

Qual è l’interpretazione della luce e il fil rouge della collezione Firmamento Milano?

«Come anticipato, un punto fisso è quello di proporre alternative a ciò che già si trova in commercio. Tutti i prodotti Firmamento Milano sono decorativi, non abbiamo nulla che sia tecnico e non facciamo luce architetturale. Cerchiamo di portare nelle case, nei negozi o nei locali pezzi dal carattere forte che contribuiscano a definire lo stile dello spazio. Abbiamo circa 60 prodotti formalmente molto diversi l’uno dall’altro ma legati, a mio avviso, dalla qualità e dalla misura del gesto creativo da cui sono nati, sono nuovi ma risultano immediatamente familiari. Questo consente alle lampade di dialogare tra loro, come si nota nei nostri uffici-showroom dove la collezione esposta crea una luce calda e avvolgente, davvero piacevole».

Ci sono delle lampade a cui è particolarmente legato?

«Ogni progetto ha la sua storia speciale fatta di incontri, discussioni, rapporti umani, e non vorrei far torto a nessuno degli architetti che collaborano con Firmamento Milano. Se proprio dovessi citare qualcosa sceglierei Stick di Cino Zucchi, a mio avviso straordinario, e l’elegante lampada da tavolo Twins di Michele Reginaldi – di una raffinatezza impagabile. Penso anche a ex-Tr di Franco Raggi, o alla sospensione Cono, che ho disegnato io stesso e che può essere realizzato in versione gigante».

 

Quali sono gli aspetti più complicati da affrontare come imprenditore?

«Ammetto che fatico a confrontarmi con un mondo della distribuzione e della vendita al dettaglio profondamente cambiato rispetto a quello in cui ero inserito in precedenza. Anni fa c’erano persone, commercianti, che facevano ricerca e rischiavano in prima persona proponendo nei loro spazi soluzioni diverse, innovative, fuori dal coro, che spiegavano il valore delle proprie scelte e comunicavano l’importanza di non cedere alle lusinghe della standardizzazione. Oggi i rivenditori si limitano ad assecondare i desideri di una clientela che vuole il marchio blasonato o l’oggetto visto centinaia di volte su una rivista o sui social. Rimane ancora qualche distributore che condivide la nostra impostazione, che ha voglia di consigliare la clientela, farla evolvere e indirizzarla verso opzioni “fuori dal coro” ed è a questa rete che Firmamento Milano si rivolge. Mi permetto un paragone azzardato: non dare spazio alle start up di design e alle piccole imprese sarebbe come vietare ai nuovi autori di proporre i loro romanzi e continuare a leggere solo i grandi classici. Le opere dei Maestri sono indubbiamente valide e le basi da cui partire, ma si può anche spaziare e approcciare libri contemporanei. Lo stesso dovrebbe avvenire nell’arredo, ci vorrebbe maggiore freschezza».

6. Showroom Firmamento Milano

Può fare un primo bilancio di questa avventura?

«Siamo in fase di rodaggio e devo rientrare dell’investimento economico iniziale. Bisogna tenere conto che gli anni sono stati difficili, tra pandemia e crisi economiche… Sono orgoglioso della proposta Firmamento Milano, dei nomi che hanno disegnato per il brand, degli apprezzamenti che ricevo dagli addetti al settore. Amo la nostra sede, in un cortile vecchia Milano con i balconi fioriti, un posto poetico, quello che faccio e che propongo mi piace e mi convince. Non credo ci sia una base migliore per continuare a lavorare!».

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