La 60ª Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, con il coraggioso titolo “Stranieri Ovunque – Foreigners Everywhere”, ha aperto i battenti il 20 aprile e continuerà a incantare il pubblico fino al 24 novembre 2024. Curata da Adriano Pedrosa e ospitata tra i Giardini e l’Arsenale, questa edizione continua l’impegno della Biennale verso la sostenibilità ambientale, mirando a ripetere il successo della neutralità carbonica già raggiunta nel 2023.
Riflessioni globali
L’esposizione prende spunto dal lavoro dell’artista Claire Fontaine e tocca temi profondi quali l‘immigrazione e la diversità culturale, esplorando le complessità del vivere in un mondo disseminato di guerre e crisi umanitarie. Attraverso 331 artisti provenienti da 80 nazioni diverse, inclusi Hong Kong, Palestina e Porto Rico, “Stranieri Ovunque” diventa un crocevia di voci globali che riflettono su identità, dislocamento e appartenenza.
Pedrosa introduce un dialogo artistico che varca i confini del convenzionale, dando spazio a figure marginalizzate come artisti queer, indigeni e autodidatti, ponendoli al centro dell’attenzione. La mostra evidenzia anche l’importanza della tradizione e del legame di sangue tra gli artisti, con un forte accento sul tessuto come medium espressivo.
In aggiunta al Nucleo Contemporaneo, il Nucleo Storico propone un’indagine sui modernismi del Sud globale e una riflessione critica sui limiti e le definizioni di queste pratiche artistiche, spesso oscurate nel panorama artistico dominato dall’Occidente.
Partecipazioni Nazionali: subentrano Benin, Etiopia, Timor Leste e Tanzania
La Biennale 2024 ospita 87 partecipazioni nazionali, con nuovi ingressi da Benin, Etiopia, Timor Leste e Tanzania, arricchendo così il dialogo interculturale. Da non perdere è il Padiglione Italia, curato da Luca Cerizza e incentrato sull’opera di Massimo Bartolini che intreccia suoni e parole in una narrazione collettiva. Interessante anche il Padiglione della Santa Sede, situato in una casa di reclusione femminile, che promuove un’esplorazione profonda dell’esperienza umana attraverso gli occhi delle detenute.
Questa edizione della Biennale, descritta dal presidente Pietrangelo Buttafuoco come una manifestazione di scenari attuali e possibili, si propone come un prisma attraverso il quale osservare le dinamiche contemporanee e passate, stimolando un dialogo continuo tra gli spettatori e le opere esposte.
Venezia si conferma ancora una volta come un epicentro di riflessione culturale e artistica, facendo da ponte tra diverse realtà e prospettive mondiali. La Biennale 2024 è questo: un invito a ripensare il nostro modo di vedere il mondo e gli “altri”, in un momento storico in cui la comprensione e l’accettazione dell’alterità sono più cruciali che mai.
I 5 Padiglioni da non perdere alla Biennale di Venezia 2024
Australia, kith and kin
Vincitore del Leone d’Oro per la miglior Partecipazione Nazionale il Padiglione dell’Australia presenta l’opera “kith and kin”, un’installazione dal forte potere emozionale firmata da Archie Moore. All’interno dell’ambiente un memoriale si estende fino al soffitto, somigliante a una mappa celeste, che traccia la genealogia dell’artista e i suoi legami con le Prime Nazioni, coprendo oltre 65.000 anni di storia e 2.400 generazioni. Il lavoro, realizzato con gesso su pareti di lavagna, riflette la vastità di una storia condivisa e la profondità del legame con la terra e la cultura originaria.
Questo grafico genealogico, tracciato a mano, evidenzia anche la dolorosa erosione delle lingue e dei dialetti delle Prime Nazioni, perduti a seguito della colonizzazione. La presenza di spazi vuoti tra i nomi, segni di un’effettiva cancellazione, diventa un potente simbolo delle atrocità subite da queste comunità. I termini “kith” e “kin”, anticamente radicati nei concetti di appartenenza e origine, ora ridotti a significare semplicemente “amici e parenti”, riecheggiano questa perdita di significato e identità.
Il padiglione comprende un fossato d’acqua in cui galleggiano documenti ufficiali, riflessione di Moore sugli alti tassi di incarcerazione delle popolazioni delle Prime Nazioni. In questa silenziosa ma eloquente esposizione, Archie Moore invita i visitatori a contemplare la fragilità e la perdita, offrendo al tempo stesso una speranza di riscatto e riconoscimento.
Lussemburgo, A comparative Dialogue Act
Sopra dei grandi altoparlanti sono collocate piastrelle metalliche, su cui sono incise le note espositive, che vibrano leggermente sotto l’effetto delle onde sonore. Il Padiglione Lussemburgo si trasforma così in un vero e proprio impianto di trasmissione acustica. Le quattro strutture, definite come “muri sonori”, sono l’elemento chiave dell’installazione creata dall’artista Andrea Mancini insieme al collettivo Every Island.
Queste pareti uniche agiranno come strumenti musicali durante le performance che si attiveranno nel corso della Biennale. Nei momenti di quiete, invece, diverranno i diffusori di una collezione di suoni archiviati e tracce composte durante dall’artista durante le residenze artistiche. Il progetto include un programma dinamico di residenze d’artista, che vedrà la collaborazione di quattro talenti emergenti di varie nazionalità: la musicista e performer spagnola Bella Báguena, l’artista transdisciplinare francese Célin Jiang, l’artista turca Selin Davasse e la svedese Stina Fors. Questa sinergia trasformerà periodicamente il padiglione in un laboratorio di creazione artistica, esplorando nuove frontiere sonore.
Francia, «Attila cataracte ta source/aux pieds des pitons verts/finira dans la grande mer/gouffre bleu/nous nous noy. mes/dans les larmes marées de la lune»
Padiglione Francia evoca per l’occasione un ambiente acquatico, dove i visitatori possono nuotare immergersi, incontrando l’immaginario di Julien Creuzet. Originario di Parigi e cresciuto in Martinica, Creuzet crea un ponte che collega le culture africane alle correnti della laguna veneziana, mescolando storie e simbologie.
L’installazione si compone di oltre ottanta sculture, tra cui reti colorate che pendono dal soffitto come alghe marine e forme fitomorfe che sembrano fluttuare nell’aria, creando un’atmosfera di profondo legame con il mare. Sullo sfondo, grandi schermi animano creature mitiche che, muovendosi, invitano i visitatori ad avvicinarsi alla loro realtà, riconciliando i sensi con un universo di significati estesi e interconnessi.
Paesi Bassi, The international celebration of blasphemy and the sacred
Il padiglione olandese va oltre la semplice ispirazione, presentando un esempio tangibile e potente di decolonizzazione. All’interno del padiglione, il collettivo Catpc, composto da artisti congolesi che originariamente lavoravano nelle piantagioni, mostra come l’arte possa diventare uno strumento di emancipazione e riconquista territoriale. Questi artisti hanno trasformato le loro esperienze e le terre lavorate in sistemi agroforestali sostenibili, ribaltando il modello di sfruttamento a loro imposto.
Le sculture esposte sono frutto di un processo creativo che inizia nelle foreste secolari vicino a Lusanga, nella Repubblica Democratica del Congo, dove l’argilla è estratta e poi modellata. Successivamente, queste opere vengono raffinate ad Amsterdam, utilizzando olio di palma e cacao, materie prime significative che richiamano le stesse colture delle piantagioni da cui gli artisti provengono.
Il messaggio di Catpc è una critica esplicita e diretta al mondo dell’arte e alle sue basi economiche. Il collettivo sfida le istituzioni artistiche a riflettere sulla provenienza dei fondi che ricevono, sottolineando il paradosso di essere supportati da quelle stesse multinazionali che perpetuano lo sfruttamento nei paesi in via di sviluppo. Questa provocazione apre un dibattito cruciale sulla responsabilità etica nel finanziamento e nel supporto dell’arte contemporanea.
Italy, DUE QUI / TO HEAR
L’installazione di Massimo Bartolini per il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia invita i visitatori a una pausa riflessiva, ad un ascolto attento che si rivela l’unico strumento possibile per l’arricchimento personale e collettivo. L’opera propone un momento di introspezione essenziale per comprendere il contesto attuale in cui viviamo.
L’architettura minimalista dell’edificio si fonde perfettamente con l’elaborato allestimento curato da Luca Cerizza, il quale ha organizzato lo spazio in tre parti distinte. Al suo interno, i visitatori sono accolti dalla presenza enigmatica del Pensativo Bodhisattva, collocato in un ambiente dove il tempo sembra fermarsi, accentuato dal suono dell’organo a canne.
Si è poi indirizzati verso lo spazio principale di Tesa 1 e alle note della composizione di Caterina Barbieri e Kali Malone, dove a circondarci è una vasta struttura di tubi metallici che percorrono l’ambiente in tutte le direzioni e al cui centro si trova una scultura circolare, pulsante e vivida, che crea un altro momento di sospensione meditativa.
All’uscita, il Giardino delle Vergini offre un’ulteriore occasione di ascolto con l’opera di Gavin Bryars, che esplora le nuove dinamiche tra l’essere umano e l’ambiente circostante.
Questa sequenza di spazi e suoni non solo arricchisce l’esperienza sensoriale dei visitatori, ma li invita anche a riconsiderare le proprie interazioni con lo spazio e il tempo, in una continua riflessione sull’essere e sul divenire nel mondo contemporaneo.