Cover: Patrick Tuttofuoco, Zero Weak First, 2018. Arco di Augusto, Rimini. Courtesy dell’artista.
Patrick Tuttofuoco è un artista italiano la cui opera si muove con naturalezza tra arte, architettura e design, facendo della luce artificiale, colorata e pulsante un elemento centrale del proprio linguaggio espressivo. Nato a Milano nel 1974, ha studiato all’Accademia di Brera, per poi affermarsi come una delle figure più interessanti dell’arte contemporanea italiana a cavallo tra il millennio. La sua produzione, spesso in dialogo diretto con lo spazio urbano, mostra una spiccata sensibilità verso la fonte luminosa che sembra usare per restituire forma e umanità ai contesti in cui si inserisce.
La luce artificiale come energia viva
Fin dagli esordi, Tuttofuoco ha riflettuto sul potenziale emotivo della luce e della geometria come strumenti capaci di attivare relazioni, creando lavori lucidi e vitali, carichi di una piacevole precisione costruttiva ed emotiva, che invitano l’osservatore a una visione attiva, a una partecipazione emotiva con l’opera stessa, che diviene così terreno di scambio in continua trasformazione.

Quella di Patrick Tuttofuoco è un’arte che non cerca la luce, ma la genera. Una pratica che non si accontenta di riflettere l’architettura, ma che prova a costruirla, temporaneamente, attraverso forme luminose che parlano di noi, delle nostre città e dei nostri desideri.
La luce, nei suoi toni accesi, nelle sue geometrie artificiali e nella sua capacità di ridefinire lo spazio, è uno dei materiali centrali del suo lavoro. Una luce non naturalistica né contemplativa, ma sociale, pensata come elemento in grado di attivare relazioni tra corpi, architetture e immaginari collettivi. Un’energia visiva che struttura lo spazio e ne modifica la percezione: «Per me la luce è una forma di linguaggio. Non mi interessa usarla per svelare, ma per creare qualcosa che prima non c’era».

Quando la luce dialoga con l’arte e lo spazio urbano
Il lavoro di Patrick Tuttofuoco si nutre di una continua tensione tra dimensione pubblica e privata, tra monumentalità e intimità. Le sue opere, spesso collocate in spazi non convenzionali o aperti, funzionano come dispositivi emotivi e sociali, capaci di trasformare il paesaggio urbano in un’esperienza collettiva.
Attraverso sculture luminose, installazioni architettoniche e ambienti immersivi, l’artista indaga il potere della luce artificiale come strumento di relazione, costruendo narrazioni visive in cui l’individuo è sempre al centro. Le sue forme, essenziali e riconoscibili, diventano archetipi contemporanei, mentre il colore e la luminosità lavorano come vettori affettivi e culturali.
In questo modo, l’opera di Tuttofuoco non è mai autoreferenziale, ma si apre a una riflessione condivisa sul tempo, sul corpo e sulla dimensione sociale dello spazio.

Nuovi spazi, nuove luci: i progetti espositivi più recenti
Tra le sue mostre più recenti, due meritano particolare attenzione, La prima a Bologna, nella Sala convegni di Palazzo De’ Toschi, da titolo Abbandona gli occhi, la seconda sempre nello stesso anno negli insoliti spazi produttivi della cantina Bosca, per Palazzoirreale. Entrambe le mostre, realizzate con un’attenta curatela avevano lo scopo di investigare in modo analitico e puntuale un tema centrale della sua opera: il rapporto con la luce.
Alla ‘casa’ della Banca di Bologna in piazza Minghetti, in un’atmosfera intima Tuttofuoco trasforma lo spazio in un paesaggio luminoso abitato da corpi in uno stato di trascendenza, un percorso espositivo che invita lo spettatore a un’esperienza tra luce, forma e presenza.
A Canelli, nell’ambito di Panorama Monferrato, in una mostra immaginata come momento di pausa e riflessione si è invece esposta una raccolta di frammenti, che ha evitato il racconto per intero, ma una lettura dello spazio e della luce.

Il lavoro di Tuttofuoco è una celebrazione della forma e del colore, un inno alla luce artificiale, un rituale visivo in cui scultura, architettura e narrazione personale si intrecciano. Opere che abitano e trasformano l’ambiente con geometrie e superfici luminose, invitando lo spettatore a sostare, a rallentare, a riflettere sulla relazione emotiva e percettiva tra corpo, luce e spazio.