Cover photo: Breath Ghost Blind, exhibition by Maurizio Cattelan at Hangar Bicocca di Milano – ph. Agostino Osio
Pasquale Mari è una figura centrale nella scena teatrale e artistica italiana per la sua maestria nel disegno luci, che ha saputo estendere con pari intensità e perfezione al cinema, alla lirica e alle arti visive. Nato a Napoli nel 1959, insieme a Mario Martone e Toni Servillo, è tra i fondatori del gruppo Falso Movimento, divenuto poi Teatri Uniti. La sua formazione artistica si sviluppa nella complessa e fertile scena teatrale napoletana degli anni Ottanta, dove la luce non è solo strumento tecnico ma vero linguaggio drammaturgico. L’esperienza maturata in questo contesto ha contribuito a definire un metodo di lavoro in cui la precisione tecnica si integra con una costante indagine visiva. «Fare la luce è una pratica quotidiana, come quella di un monaco o di un detective ostinato», dice spesso Mari, ribadendo la pazienza e la disciplina che la sua arte richiede.

Negli anni, Mari è stato affiancato con continuità da Gianni Bertoli, suo storico assistente, con cui ha sviluppato una solida intesa professionale. L’approccio di Mari si fonda su una profonda attenzione per il ritmo interno della scena, calibrando ogni variazione luminosa con la dinamica dell’azione. «La luce necessaria e sufficiente va fatta derivare dall’attenta auscultazione del luogo», spiega, rivelando quanto per lui conti l’ascolto dello spazio, persino quando si tratta di un fondale o di un ambiente fittizio.

Per Mari, la luce non è un semplice supporto, ma un dispositivo progettuale in grado di articolare lo spazio scenico al pari di scenografie, gesti e parole. Il suo lavoro si distingue per l’assenza di effetti gratuiti: ogni scelta luminosa deriva da una lettura puntuale del testo e delle sue implicazioni emotive. «Intercettare la luce di passaggio e fare della scena una trappola per costringerla a sostare un poco davanti ai nostri occhi» è una delle sue immagini più potenti, che restituisce la misura poetica e visionaria del suo percorso.
Una profonda comprensione della drammaturgia visiva
Mari è un artista che costruisce immagini nella penombra, in bilico tra materia e astrazione, tra corpo e spazio. Le sue luci non illustrano ma creano architetture invisibili, atmosfere che sospendono la narrazione e amplificano la percezione. Lo spettatore è chiamato a immergersi in ambienti dove la luce diventa elemento compositivo, narrativo e poetico. Il suo approccio, che egli stesso ha definito quello di un lighthunter, è basato su un ascolto quotidiano delle condizioni luminose e su una profonda comprensione della drammaturgia visiva. Questo sguardo attento lo porta a costruire veri e propri paesaggi percettivi, come nel caso di Jeanne Dark al Maggio Musicale Fiorentino, dove una luce calibrata nei tagli e nelle temperature cromatiche accompagna la protagonista in uno spazio che evolve, sottolineando la tensione e la dimensione introspettiva della vicenda.

La costruzione luminosa non è mai ornamentale, ma frutto di un processo di sottrazione, in cui ogni fonte è calibrata per rispondere alle esigenze del testo, dello spazio e del tempo scenico. È in questo modo che, ad esempio, riesce a creare atmosfere cariche di tensione pur con minimi interventi luminosi, focalizzando l’attenzione su un singolo gesto o un’espressione. Una cifra che si ritrova anche nella sua collaborazione con Arturo Cirillo per Il Misantropo, dove le luci disegnano uno spazio mentale più che fisico, dando risalto ai compromessi e all’ipocrisia della società del testo di Molière.

Dal teatro alla lirica: l’architettura emotiva della scena
Nel corso della sua carriera, Pasquale Mari ha definito un linguaggio visivo riconoscibile, in cui la luce diventa pensiero scenico. Dai principali teatri italiani all’opera lirica internazionale, ha illuminato palcoscenici come la Scala di Milano e l’Opera Bastille, costruendo atmosfere che amplificano tensioni drammatiche e rivelano l’architettura emotiva della scena. Nelle sue regie luci per Lucia di Lammermoor e Un Ballo in Maschera, la luce sottolinea il passaggio tra realtà e proiezione interiore, operando come strumento di analisi psicologica del personaggio.
Il suo sguardo si è esteso anche all’arte contemporanea, curando le luci di mostre e installazioni tra cui Breath Ghosts Blind di Maurizio Cattelan e progetti per la Biennale Arte e la Triennale di Milano. Nel caso dell’opera di Cattelan, Mari ha scelto un sistema di luci direzionali e tagli di buio per accompagnare il percorso narrativo dell’installazione, conferendo al visitatore una sensazione di sospensione e introspezione.
Nel cinema ha firmato la fotografia di film come L’uomo in più di Paolo Sorrentino e produzioni televisive, portando anche sullo schermo la sua grammatica luminosa, poetica e precisa. Il suo contributo alla fotografia di Buongiorno, Notte di Marco Bellocchio mostra la sua capacità di tradurre l’intensità teatrale in linguaggio filmico, con luci che sembrano respirare con i personaggi.

La luce come gesto etico e poetico
Dal 2016 Mari insegna all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico e ha recentemente pubblicato Dire Luce, un dialogo con la studiosa Cristina Grazioli in cui riflette sulla scrittura della luce come pratica politica, poetica ed estetica. Il libro raccoglie riflessioni maturate in oltre trent’anni di attività, attraversando esperienze e collaborazioni, e mettendo in luce (in senso letterale e figurato) la responsabilità etica del progettare atmosfere e visioni.