La creatività ai tempi dell’AI: Arturo Tedeschi

L'AI non ruberà il lavoro a nessuno, perché non sostituisce l'uomo ma si rafforza la sua creatività attraverso processi che abbandonano la logica comune in favore della statistica e dell'esplorazione di infinite soluzioni. Arturo Tedeschi smonta i luoghi comuni più diffusi e offre uno sguardo fresco e leggero sulle potenzialità delle nuove tecnologie.

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Arturo Tedeschi usa un linguaggio semplice e alla portata di tutti, si avvale di esempi per spiegare i concetti più complessi ma non banalizza mail tema dell’AI. Al contrario, riesce ad aprire gli occhi “dell’uomo comune” sule infinite potenzialità di tutto ciò che mettiamo sotto l’ampio cappello della definizione intelligenza artificiale, sfatando i falsi miti e le visioni apocalittiche che dipingono un domani in cui saranno le macchine a governare l’uomo. Classe 1979, una laurea in architettura e un percorso “alternativo” che lo ha portato ad approcciare la progettazione in maniera diversa, prima attraverso l’uso degli algoritmi e il machine learning, poi con l’AI. Nel suo curriculum, oltre a pubblicazioni e studi di rilevanza internazionale, spiccano collaborazioni con studi di architettura come Zaha Hadid Architects e Ross Lovegrove, con brand di automobile, marchi di moda.

1. AI exploration by Arturo Tedeschi

Quale è stato il tuo percorso, come hai approcciato la progettazione computazionale e le piattaforme di AI?

«Mi sono laureato in architettura nel 2004 e ho lavorato come progettista; dopo 4-5 anni non trovavo più stimoli, per questo ho iniziato a operare con gli algoritmi e a occuparmi di design computazionale, cercando modi nuovi di creare forme complesse. Ho approcciato strumenti come Phyton e C Sharp e in parallelo alla ricerca indipendente ho pubblicato dei libri per condividere quello che stavo scoprendo e imparando. Da lì è partita la mia carriera professionale, creare algoritmi è diventato il mio lavoro che mi ha aperto le porte di studi di architettura, dell’industria del design, dell’automotive, del fashion.

2. AI exploration by Arturo Tedeschi

Mi sono avvicinato all’AI attorno al 2017 usando il machine learning negli algoritmi. Per risolvere alcuni problemi ho iniziato ad andare oltre alla logica “se – allora”, allenando il computer a fare delle cose in automatico. Quando c’è stato il big-bang dell’AI nel 2022 ero già preparato, conoscevo bene quell’universo ma è stato per me molto interessante vedere come l’AI ha influenzato la creatività, quando in precedenza si pensava che i suoi ambiti di applicazione sarebbero stati molto più razionali e scientifici».

 

Qual è il confine tra creatività umana e AI?

«In molti hanno approcciato Midjourney con il timore che i grafici e i designer non avrebbero più lavorato, ma questo secondo me non può accadere. Bisognerebbe anzitutto fare un grosso lavoro sulla terminologia per capire che sotto l’ampio cappello di ciò che viene comunemente definito AI ci sono un’infinità di sistemi e applicazioni differenti. Ad esempio in ambito creativo sarebbe più opportuno parlare di Fusion Model e non di AI, perché i programmi più utilizzati tendono a tradurre un testo in immagine in maniera randomica attingendo da grandi database. In generale, i sistemi collegati all’AI sono bravissimi a interpretare quella capacità umana che si chiama combinational creativity, ovvero quell’attitudine ad associare oggetti o ambiti distanti tra loro per dare vita a qualcosa di innovativo. Parlo di realizzazioni iconiche come lo spremiagrumi di Philippe Stark per Alessi, che fonde un utensile di uso comune con un ragno, o la Casa Danzante a Praga del decostruttivista Frank o. Gehry, ispirata a due ballerini abbracciati. Si tratta di metafore e l’AI è bravissima a generarle, a fare associazioni assurde. Ma, a differenza di quelle fatte da noi umani sono più piatte. Ecco dunque il punto: l’AI è un supporto alla creatività quando viene guidata in maniera consapevole, un approccio inconsapevole genera risposte che mancano di poesia risultando artificiali».

Può essere l’AI un supporto per essere creativi in maniera differente?

«L’AI ci porta in un mondo parallelo, dove i problemi non vengono risolti in modo deterministico, ovvero attraverso l’analisi e l’individuazione di un percorso razionale secondo la sequenza “se-allora”, ma in maniera statistica, provando infinite soluzioni in maniera completamente irrazionale con approcci non convenzionali. Un esempio pratico: recentemente un team americano ha sviluppato un nuovo chip lavorando con sistemi di deep learning. I circuiti creati sono incomprensibili all’occhio umano, ma ai test il chip è risultato molto più veloce e performante di tutti quelli sviluppati razionalmente.

L’impatto di questa scoperta è potenzialmente enorme. Pensiamo ad esempio all’architettura, dal progetto di ristrutturazione di un piccolo monolocale alla realizzazione di un edificio multipiano. Fino ad ora ogni step progettuale è stato affrontato dagli architetti affidandosi all’esperienza, alle consuetudini, alle normative, alle regole. Con l’utilizzo dell’AI si potrebbero creare forme e layout mai visti prima ma molto più funzionali, elaborando grandissime quantità di dati contemporaneamente. La vera creatività dell’AI è il passaggio dalla razionalità alla statistica, uno switch antropologico di portata gigantesca perché significa abbandonare la logica per avventurarsi nell’ignoto e scoprire qualcosa di completamente nuovo, forse incomprensibile. È questo il vero fulcro della questione, si tratta di una disciplina in costante evoluzione ed è difficilissimo stare al passo».

8. AI exploration by Arturo Tedeschi

Quali sono i possibili campi di applicazione pratici degli strumenti legati all’AI?

«Al momento siamo come dei bambini che giocano, l’utilizzo dell’AI è ancora in fase sperimentale per non dire embrionale. Il suo impatto è ancora modesto, ma tutto potrebbe cambiare nel giro di qualche anno, accelerando in maniera repentina. Al momento i maggiori vantaggi riguardano la riduzione del tempo che passa dall’ideazione di un prodotto all sua realizzazione

La pipeline tradizionale prevede la condivisione di un desiderata da parte del cliente, un briefing, degli sketch fatti a mano e poi trasformati in modelli 3D tra cui la committenza sceglierà la soluzione migliore. Si tratta di un flusso molto dispendioso, che riduce al 3-5% il tempo dedicato alla creatività pura riservando il timing maggiore allo sviluppo. L’AI, come detto, è in grado di pensare infinite soluzioni in maniera non razionale e a costo zero. In un futuro non troppo distante potremmo avvalerci dell’AI istruendola per rispondere ad esigenze precise, trasformando pensieri in oggetti. Non atrofizzeremo il nostro cervello: penseremo sempre di più solo, l’atto creativo sarà automatico. E la scelta della soluzione migliore, più adatta, rimarrà sempre in mano all’uomo e si baserà sulla cultura, sulla conoscenza del mercato, sull’effettiva necessità. L’AI può anche essere un valido supporto per ottimizzare l’utilizzo dei materiali, potrebbe fare calcoli strutturali avanzatissimi per costruire edifici utilizzando meno risorse possibile. E gli stessi edifici potrebbero avere forme apparentemente complicatissime ma in realtà molto più funzionali. Ci sono anche ricerche del Politecnico di Milano secondo cui l’AI sarà in grado di suggerire aggregazioni molecolari diverse da quelle tradizionali per creare materiali più leggeri, più flessibili, più sostenibili. Quando l’AI sarà pane quotidiano avremo moltissimo tempo per pensare, per lavorare sullo storytelling, per riflettere. Saremo costretti ad analizzare profondamente le nostre idee per capire se sono davvero forti».

 

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