Basilica Superiore di Assisi © courtesy Fabertechnica
Stella Cardella, architetto e lighting designer, è Associate Partner presso lo studio internazionale Foster + Partners di Londra, dove lavora a stretto contatto con team multidisciplinari su progetti complessi che spaziano dall’architettura all’urban design. La sua formazione in Italia, a Roma, e l’esperienza maturata in contesti internazionali le hanno permesso di sviluppare una sensibilità unica per la luce come strumento narrativo e funzionale. Oggi, nel suo ruolo, porta avanti una ricerca costante sull’integrazione tra architettura e lighting design, contribuendo a definire un linguaggio visivo coerente con l’identità dello studio.
Dal suo percorso formativo e professionale a Roma fino all’esperienza internazionale a Londra: come si è evoluta la sua visione della luce nel corso degli anni?
«Ho incontrato la luce durante il mio percorso accademico, non come una semplice materia di studio, ma come un linguaggio dotato di una propria poesia. All’Università di Architettura di Roma, i corsi di illuminotecnica erano articolati in due parti: una prima, di natura tecnica, dedicata alla fisica, all’ottica e alla meccanica della luce e una seconda rivolta al suo dialogo con l’architettura. Ho avuto la fortuna di seguire le lezioni del professor Corrado Terzi, che mi ha rivelato per la prima volta la straordinaria capacità della luce di interagire con lo spazio costruito. Qualche anno più tardi, lavorando con il professor Marco Frascarolo su importanti siti del patrimonio culturale italiano, la mia attenzione si è concentrata sugli aspetti più tecnici: calcoli, norme, verifiche di conformità. I numeri offrivano rigore e sicurezza, ma grazie alla visione del mio mentore ho iniziato a comprendere che la vera natura della luce va oltre le misurazioni: è un mezzo di trasformazione emotiva e spaziale. La svolta è arrivata con il progetto di illuminazione della Basilica di Assisi. Lavorando a stretto contatto con il curatore Sergio Fusetti, abbiamo raggiunto un equilibrio unico tra luce e ombra sulle superfici affrescate: un risultato tecnicamente misurabile, ma percepibile solo attraverso l’emozione. È stato allora che ho compreso come la luce non possa essere ridotta a pura competenza tecnica: la sua essenza risiede nella capacità di ridefinire la percezione e intensificare l’esperienza dello spazio.Gli anni a Londra hanno aggiunto un nuovo livello di consapevolezza. In Foster + Partners continuo ogni giorno a imparare come integrare la luce nell’architettura in modo naturale, dove tecnologia e atmosfera si fondono in un linguaggio unico».
Nei progetti di Foster + Partners, caratterizzati da un forte equilibrio tra tecnologia e poetica architettonica, come trova applicazione il lighting design? In che modo la luce contribuisce a rafforzare la cifra stilistica dello studio?
«L’architettura deve essere proiettata al futuro, capace di anticipare il mondo in cui desideriamo vivere. In questo senso, il design è uno strumento di trasformazione responsabile, un catalizzatore di cambiamento positivo per l’ambiente e le persone. Nel lavoro di lighting designer all’interno di Foster + Partners, la sostenibilità rappresenta il punto di partenza di ogni progetto. La sfida quotidiana è quella di bilanciare efficienza energetica, comfort visivo e qualità percettiva degli spazi, contribuendo al tempo stesso al benessere complessivo degli utenti. L’approccio integrato con i team di architettura e ingegneria ci consente di definire strategie luminose coerenti con l’identità del progetto, in cui la luce non è mai un’aggiunta, ma una componente strutturale del linguaggio architettonico. Per questo sviluppiamo soluzioni su misura, spesso attraverso l’uso di tecnologie avanzate e apparecchi personalizzati, pensati per fondersi con i materiali, le geometrie e l’atmosfera dell’edificio».
Può raccontarci di un progetto recente in cui il lavoro di lighting design ha avuto un ruolo determinante, sia dal punto di vista tecnico sia da quello concettuale?
«Il progetto dell’Apple Store di Via del Corso a Roma è stato per me un’esperienza rivelatrice: mi ha confermato che il lighting design non si limita alla conformità normativa o alla creazione di atmosfera, ma rappresenta un vero esercizio di integrazione, in cui luce e architettura diventano elementi inseparabili di un unico linguaggio».
«Nel restauro dello storico Palazzo Marignoli, la luce assume il ruolo di interprete del tempo: riporta in vita la stratificazione della storia, rivelando i soffitti affrescati dell’Ottocento accanto ai graffiti moderni degli anni Cinquanta. La luce è stata essenziale per rivelare e celebrare queste diverse narrazioni, creando uno spazio in cui la città e la storia si incontrano davvero. Dal punto di vista tecnico, la sfida principale è stata integrare sistemi avanzati di illuminazione in modo discreto, quasi impercettibile, pur mantenendo al contempo un forte impatto percettivo e poetico».
«La monumentale scalinata, originariamente costruita da Marignoli per accedere alla sua residenza, è stata meticolosamente restaurata, mantenendo i dettagli originali in marmo di Carrara, mentre il lucernario originale, costruito durante una precedente ristrutturazione, è stato restaurato ed è oggi fonte di una luce artificiale che riproduce la tonalità della luce naturale. Nel cortile interno, un tempo appartenente al monastero cinquecentesco, le lanterne storiche sono state restaurate da artigiani locali e dotate di LED ad alta efficienza, studiati per ricreare la morbidezza e la profondità luminosa della luce a candela».
All’interno del team di lighting design di Foster + Partners convivono competenze diverse: quanto è importante questa multidisciplinarità e in che modo incide sull’approccio progettuale che adottate?
«Il dipartimento di lighting design fa parte del gruppo di Environmental Engineering, il cui metodo di lavoro si fonda sul principio che i sistemi di un edificio debbano integrarsi pienamente con l’architettura, per dare vita a spazi sostenibili e coerenti. All’interno di questo contesto, il team integra competenze diversificate: designer, creativi, analisti e tecnologi lavorano in sinergia fin dalle prime fasi del progetto, condividendo obiettivi, svolgendo revisioni incrociate e collaborando attivamente alla ricerca e allo sviluppo. Spesso realizziamo mock-up in scala reale, strumenti fondamentali per osservare come la luce — naturale e artificiale — interagisca con i materiali, le geometrie e la percezione spaziale. In questo approccio interdisciplinare, la luce non è mai un elemento aggiuntivo: è concepita come componente integrante del progetto, strettamente intrecciata con la forma, la materia e l’atmosfera».




