Cover photo: Tea Pavilion, photo Object Lens
La qualità della luce artificiale è il tema portante del Tea Pavilion, progettato dallo studio Bufen Atelier all’interno del 798 Art District di Pechino, un’area di riconversione industriale caratterizzata da capannoni dismessi e strutture in acciaio a vista. Il padiglione, concepito come installazione temporanea e spazio sociale destinato alla cerimonia del tè, si configura come un dispositivo architettonico che lavora principalmente sull’atmosfera luminosa.

Questa è modulata e distribuita in modo omogeneo e indiretto, attraverso un sistema di corpi illuminanti lineari incassati sopra la maglia metallica, che filtrano la luce verso il basso restituendo un’intensità diffusa e priva di accentuazioni. L’obiettivo non è la spettacolarizzazione dello spazio, ma la creazione di una condizione ambientale continua, priva di gerarchie luminose, dove ogni punto del padiglione mantiene la stessa densità percettiva.
Il riferimento alla lanterna, dichiarato dagli autori, viene declinato in chiave tecnica e funzionale. Non si tratta di evocare un oggetto, ma di riprodurre la qualità di una luce filtrata e stazionaria, sospesa in uno spazio opaco e poroso. La maglia metallica zincata lavora come piano riflettente e supporto degli apparecchi, ma anche come membrana visiva che disattiva la percezione della copertura vera e propria, lasciando galleggiare il sistema di illuminazione al di sopra della testa degli utenti.

Confini sfumati e luce diffusa
Il padiglione si inserisce in un lotto interstiziale tra due fabbricati industriali esistenti, su un piano in terrazzo giallo leggermente rialzato. L’ingombro planimetrico è ridotto – poco più di 50 metri quadrati – ma articolato in una sequenza di volumi giustapposti, in parte opachi e in parte vetrati. I fronti laterali sono chiusi da tamponamenti in mattone curvo, posati a secco, mentre i fronti corti si aprono verso l’esterno attraverso ampie superfici trasparenti. La piattaforma gialla, quasi un palcoscenico, si estende verso l’angolo stradale, coinvolgendo i passanti e offrendo un momento inatteso di quiete nel groviglio di strade e tubazioni industriali. È al tempo stesso oggetto, spazio e gesto sociale — un invito a fermarsi, riflettere e connettersi.

All’esterno, la griglia luminosa si estende oltre il perimetro costruito, suggerendo un’espansione dello spazio verso il giardino e diluendo il confine tra interno e esterno. Questo prolungamento funziona anche come soglia luminosa nelle ore serali, marcando l’accesso senza dover ricorrere a segnalazioni visive o apparati scenografici. L’illuminazione dell’area esterna avviene per rifrazione e per riflesso, con l’ausilio di strip LED ad alta efficienza incassate nel bordo della pavimentazione, alimentate a bassa tensione, con lente diffondente a 120° e IP68.

Una continuità spaziale fatta di materia e luce
Dal punto di vista architettonico, il Tea Pavilion di Bufen Atelier lavora per addizione di piani e porzioni di volume, dando forma a una sequenza di recinti e vuoti che si susseguono senza confini rigidi, suggerendo un layout aperto e in continuo dialogo con l’esterno. I materiali: laterizio, terrazzo, vetro e metallo sono lasciati a vista e trattati con uniformità, contribuendo alla definizione di uno spazio essenziale e coeso, in cui ogni elemento è integrato nell’involucro: le panche, i supporti per il tè e le superfici d’appoggio non sono arredi autonomi, ma parti dell’architettura, scolpiti nel pavimento o aggettanti dalle murature.

In questo sistema fluido, una finestra laterale di grandi dimensioni si apre completamente, trasformandosi in soglia mobile tra interno ed esterno e permettendo allo spazio di espandersi verso un giardino adiacente. Questa relazione porosa tra ambiente costruito e paesaggio attiva una continuità esperienziale che accoglie programmi d’uso flessibili e accentua la dimensione atmosferica dell’intervento. L’architettura si fonde con l’atmosfera, offrendo una percezione mutevole e permeabile dello spazio.

Un dispositivo sociale dedicato alla cerimonia del tè
Il padiglione non punta all’iconicità né all’astrazione: si distingue per l’uso calibrato di mezzi minimi e per la capacità di rendere la luce un vero e proprio materiale costruttivo, integrato sin dalle prime fasi progettuali come elemento generativo dello spazio e non come semplice componente tecnica o decorativa.

L’effetto lanterna dichiarato si manifesta come strategia progettuale, ma mai letterale come immagine: il padiglione non si mostra, si lascia percepire, rivelando la propria presenza attraverso variazioni atmosferiche sottili, percettibili solo nell’esperienza diretta dell’ambiente. È un edificio piccolo, ma ambizioso: un gesto misurato che ambisce a illuminare — simbolicamente e fisicamente — un’intera porzione di città. Un punto di luce nel tessuto industriale, che non cerca visibilità, ma quiete.